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Introduzione alla fotografia naturalistica: etica, attrezzatura, equipaggiamento

A cura di Luca Tessore, un racconto affascinante sulla fotografia d'appostamento

Alice Dell'Omo Scritto il
da Alice Dell'Omo

“Ogni fotografia scattata nella natura trasmette a chi la osserva un senso di avventura, per tirar fuori il meglio da essa bisogna entrare in punta di piedi e rimanere nel silenzio. Imparare la fotografia d’appostamento vuol dire trovarsi un passo avanti”, così inizia il racconto di Luca Tessore, aspirante tester di outdoortest.it, che parla della introduzione alla fotografia naturalistica, distinguendo quella d’appostamento da quella d’inseguimento, di attrezzatura, di equipaggiamento, di competenze.

Stambecchi. Crediti: Luca Tessore

I fotografi del silenzio

“È inverno e sono sulle tracce di un gruppo di cervi maschi, alzo lo sguardo, una frazione di secondo, ci studiamo, li innervosisco ed ecco che si allontanano dalla portata del 300 mm. Inizio a risalire il pendio lungo la massima pendenza nel costone opposto al gruppo nella speranza di non essere notato, i polmoni lavorano a dovere, le gambe bruciano ma sono in forma, l’allenamento per i trail running si dimostra sempre utile in queste situazioni.

Raggiungo l’altezza stimata in cui dovrei trovarmi difronte al gruppo, c’è un po’ di foschia, meglio che un banale sole, eccoli spuntare, inizio a scattare, mi notano e scappano.

Questa è stata una delle ultime fotografie d’inseguimento, capii presto che se volevo fotografare la natura non potevo essere un intruso indisciplinato.

Caprioli. Crediti: Luca Tessore

Cambiare atteggiamento può essere difficile soprattutto se non si possiede un teleobiettivo dalle prestazioni simili al telescopio Hubble, ma appena ci si rende conto dell’impatto che può avere una caccia fotografica invasiva non sarà difficile scegliere. Tutti questi inseguimenti grossolani fanno sprecare energie preziose agli animali specie in inverno quando il cibo scarseggia e per reperirlo ci vogliono più sforzi, in alcuni casi le conseguenze possono essere davvero negative.

L’alternativa consiste nella fotografia d’appostamento. Indispensabile è conoscere ancora meglio le abitudini della fauna soprattutto in relazione alla stagione e alle condizioni meteo. Stare fermo per diverso tempo può essere fastidioso, le temperature si fanno più prepotenti, così d’inverno si ha più freddo e d’estate più caldo, d’altronde non siamo fatti per stare fermi, non siamo alberi.

Stambecchi. Crediti: Luca Tessore

Per diventare un “albero” si ha bisogno di acqua e cibo a portata di mano, d’inverno ci si deve isolare il più possibile dal suolo e in caso di brutto tempo dall’umidità. D’estate le rocce possono diventare molto calde e il sole insopportabile così una coperta può fare la differenza.

Fotografare in questo modo è sicuramente più impegnativo, ma anche meno impattante per la fauna selvatica oltre ad essere una terapia contro il movimento continuo della città. L’attesa diventa una cura se si è ben equipaggiati, il solito vestirsi a cipolla può non bastare in queste occasioni, così nello zaino una leggera amaca portatile diventa uno chalet a 5 stelle. Per fotografare nel silenzio ci si deve svegliare in piena notte per essere già in postazione alle prime luci, talvolta si inizia a fotografare quando ancora la montagna è avvolta dal blu, tutto questo è davvero emozionante. Passare alla fotografia d’appostamento non significa per forza mettere mano al portafoglio si possono fare ugualmente delle belle foto con qualsiasi obbiettivo indipendentemente dalla lunghezza focale.

Cardellini. Crediti: Luca Tessore

L’attrezzatura – introduzione alla fotografia naturalistica

I famosi millimetri di cui sentiamo spesso parlare possono diventare non così importanti, sebbene sia indiscutibile il fatto che obbiettivi superiori ai 500 mm determinano in ogni situazione la possibilità di fotografare da maggiori distanze con la conseguenza positiva di ridurre il disturbo alla fauna. Nello stesso tempo in alcune situazioni avere troppi millimetri in mano potrebbe far perdere una fotografia perché il soggetto troppo vicino non rientrerà nell’inquadratura.

Ma non è l’unico problema causato dalla vicinanza del soggetto. Per sua natura la reflex stessa quando scatta provoca rumore che può essere avvertito, oggi il problema è risolto con le mirrorless che oltre ad essere molto leggere sono prive di rumore di scatto, questi ultimi corpi macchina sono consigliati proprio per chi preferisce in ogni caso fare fotografia vagante e fotografare ciò che trova sul suo cammino.

Immancabile in ogni situazione è il cavalletto che permette di curare in modo più preciso l’inquadratura ed aiuta la messa a fuoco, ma quando ci si muove per molto tempo può bastare il monopiede meno ingombrante e più leggero.

Cervi. Crediti: Luca Tessore

Non so se avete notato ma non ho parlato di flash: io personalmente non amo usarlo preferisco perdere di qualità alzando la sensibilità del sensore (i così detti ISO) piuttosto che interferire prepotentemente con un lampo di luce artificiale, e quando le condizioni sono così estreme e la luce è molto scarsa sono disposto a perdere la foto. Ricordiamoci sempre che dobbiamo spiare la natura non buttar giù la porta pur di vedere.

Gli indispensabili – introduzione alla fotografia naturalistica

Senza scomodare i guru di National Geographic tendenzialmente la differenza sostanziale tra uno zaino preparato per fare inseguimento e uno pronto per l’appostamento sta nel contorno che consiste in tutto ciò che serve per star fermo con il massimo confort possibile. Difficilmente chi ha acquistato un cannone da 500 mm lo lascia a casa soltanto perché è pesante e nel mentre ci si mette pure in tasca l’obbiettivo grandangolare (ottiche al di sotto di 50 mm) metti caso di inciampare in qualche tramonto.

Photo by Thomas Schweighofer on Unsplash

Quindi mediamente l’attrezzatura fotografica risulta la stessa ciò che cambierà sarà la prospettiva da cui si faranno gli scatti con risultati molto differenti.

Un giorno mi trovai appostato nei pressi di una carcassa di una cerva, la notai per il grande via vai di corvi, decisi allora che poteva valer la pena passare qualche ora ad aspettare gli invitati al banchetto. Dopo un paio d’ore mi accorsi che avevo dimenticato la borraccia nell’automobile a più di un’ora di cammino, decisi quindi di rimanere lì, arrivate le ore centrali il sole era decisamente insopportabile e l’idea di non poter bere mi aumentava la sete, ad un certo punto vedendo solo corvi per tutta la mattina decisi di smontare e finalmente di andare a bere. Raggiunsi l’automobile con un lieve mal di testa, uno fra i primi sintomi della disidratazione, bevvi e tornai a casa, il giorno dopo sul posto trovai solo qualche resto.

Non so se un’aquila, una volpe o altro fosse passata poco dopo il mio abbandono, ma l’acqua da quella volta non l’ho più dimenticata.

Cervi. Crediti: Luca Tessore

In conclusione ci sono alcune cose indispensabili come l’acqua che è prima fra tutte, che permettono di prolungare l’attesa senza le quali probabilmente ti farebbero abbandonare l’appostamento vanificando l’attesa.

Nel mio zaino non manca mai un’amaca (il famoso chalet a 5 stelle di cui parlavo prima), occupa un po’ di spazio ma può essere usata per riposare e ripararsi, un capo impermeabile, un pile dal peso adeguato in base alla stagione/meteo e come ultimo gadget ma non meno importante un paio di ramponcini che possono tornare utili in tutte le stagioni.

Non solo la neve e il ghiaccio possono essere destabilizzanti, a volte è molto peggio l’erba non pascolata soprattutto dopo una pioggia o al mattino presto, a volte addirittura una picca fa la differenza e anche se stona sui pendii verdi e lo zaino inizia a essere troppo simile a quello di un alpinista più che a quello di un fotografo può valer la pena essere un po’ più carichi; la montagna non sa chi tu sia e non fa distinzione fra alpinisti e fotografi quindi meglio attrezzarsi quando il percorso lo richiede.

Photo by Hem Poudyal on Unsplash

A differenza che nelle altre attività dove oggi si tende a togliere (cosa che sto apprezzando in generale) piuttosto che aggiungere, quando ci si apposta bisogna ricordarsi che non si sviluppa calore come quando si cammina né tanto meno come quando si corre, quindi sono necessari capi diversi da quelli che siamo abituati ad acquistare abitualmente oggi per gli sport più dinamici.

Specie d’inverno le scarpe da trail running in Gore-Tex® non bastano, serve più struttura e ci si deve riabituare ad indossare scarponi classici oggi considerati obsoleti per certi versi ma fondamentali se si deve stare fermi per ore nella neve. Stesso discorso vale per il resto, pantaloni troppo tecnici da sci alpinismo possono risultare freddi proprio perché non li stai usando per quello che sono nati, cioè per il movimento. Per quanto riguarda la giacca, quelle da sci alpino (da discesa) sono molto più resistenti e calde, sempre per lo stesso discorso. Ovviamente ci sono capi dedicati, ma a volte è bello recuperare e riciclare ciò che si possiede, quindi in generale si può dire che l’attrezzatura da sci da discesa risulta più adatta allo scopo rispetto ai capi oggi più gettonati utilizzati per lo sci alpinismo tranne nei casi in cui l’avvicinamento sia molto lungo. Indispensabile è il berretto o una fascia in modo da proteggere sempre la fronte e le orecchie, mentre di guanti meglio sempre due paia, uno più leggero e uno più pesante, chi fa foto deve poter utilizzare le dita per settare la macchina fotografica quindi anche se le moffole sono più calde io ho dovuto rinunciarci per la difficoltà nell’utilizzare le ghiere e il pulsante di scatto.

Photo by Lewis Parsons on Unsplash

D’estate per fortuna ci si può permettere abbigliamenti più leggeri ma nello zaino lascio sempre un ombrello portatile in caso di temporali improvvisi (anche se qui ci andrebbe un capitolo a parte per quanto riguarda il comportamento corretto per evitare incontri elettrizzanti!), questo servirà non solo per noi ma soprattutto per l’attrezzatura non tropicalizzata (termine cool per indicare una elevata resistenza all’umidità, polvere, etc…). Andare a fotografare in montagna d’estate significa spesso ritrovarsi in un prato con erba alta o appollaiati su qualche ramo, ecco perché è bene avere sempre pantaloni lunghi e di tessuti robusti, l’erba per le gambe è come un rasoio affilato male, non ti taglia ma a fine giornata può essere molto irritante. Il capo d’eccellenza rimane il gilet, indispensabile in tutte le stagioni e condizioni meteo, permette di accedere facilmente a molte tasche dove puoi riporre obbiettivi e cibo o qualsiasi altra cosa che debba essere a portata di mano. Il gilet è un ottimo contributo alla nostra termoregolazione, ci permette di mantenere calde le aree vitali senza far alzare troppo la temperatura generale.

Caprioli. Crediti: Luca Tessore

Se si è partiti nel cuore della notte ad un certo punto la fame si farà sentire quindi è bene armarsi di cibo solido, purché comodo da mangiare evitando troppi packaging soprattutto se rumorosi o riflettenti, così anche l’ambiente ringrazierà! Io personalmente trovo molto pratico e saziante il formaggio e frutta secca bilanciando con frutta ricca d’acqua sempre per aiutare l’idratazione, quindi non servirà portare un banchetto di carboidrati e dolci vari i quali come è noto contribuiscono maggiormente ad alzare la glicemia (zuccheri nel sangue) favorendo i picchi glicemici e quindi la sensazione di fame; riempiamo lo zaino pensando a come si riempie lo stomaco!

Nelle giornate più fredde finire un pasto con una bevanda calda sarà d’aiuto alla digestione, quindi un thermos è bene aggiungerlo nel conteggio dei liquidi, in generale due litri possono bastare ma tutto dipende dalla durata dell’avvicinamento e da quante ore si vuole restare fuori.
Non rimane che preparare lo zaino e aprire la porta ricordandosi sempre che una fotografia realizzata senza aver influito negativamente sul comportamento animale piuttosto che sul paesaggio non soltanto sarà un’immagine migliore, ma avrà un valore aggiunto per il minor impatto sull’ecosistema.

Tornati a casa sarà come sbirciare dal buco della serratura, e lo stupore sarà maggiore. Quindi armatevi di pazienza e di un buon libro, rimanete in silenzio e buona fotografia d’appostamento a tutti!”.

Stambecchi. Crediti: Luca Tessore

Luca Tessore: bio

Sono Luca Tessore vivo sulle Alpi Cozie nei pressi della località sciistica di Sestriere in provincia di Torino. Da sempre cerco nella montagna la sua essenza più selvaggia e sebbene sia difficile oggi trovare angoli in cui l’uomo non abbia prepotentemente influito su di essa negli anni ho scoperto luoghi che mi fanno sentire molto vicino a ciò che sto cercando. Per amare profondamente la natura bisogna conoscerla ho deciso così di intraprendere gli studi universitari presso la Facoltà di Agraria e Medicina Veterinaria di Grugliasco (TO), laureandomi nel 2016 in Scienze Forestali ed Ambientali. Essendo convinto che la coesistenza delle specie sta alla base dell’equilibrio naturale ho studiato in particolare il lupo e l’interazione con l’uomo nelle vallate alpine, oggi da noi è tema di grande dibattito. La mia passione per la fotografia naturalistica e i paesaggi innevati mi hanno portato a passare dallo sci alpino allo sci alpinismo dove cerco di muovermi sempre con il rispetto della montagna. Sempre la neve e la voglia di stare là fuori mi hanno accompagnato alla conclusione dei miei studi con una tesi sulle dinamiche di formazione del manto nevoso e i relativi problemi d’instabilità scatenanti le valanghe. Questo mi ha portato ad occuparmi dalla stagione invernale 2017/18 della sezione “Neve e Valanghe” di un sito meteorologico locale (www.meteopinerolese.it); in particolare la sezione del sito è volta a divulgare le conoscenze di base per muoversi con più consapevolezza su terreno innevato. La stagione successiva, sempre la passione per la neve, mi porta a Courmayeur a seguire un corso sugli incidenti in valanga. Nel frattempo ho continuato a correre a piedi, in bici e a salire con le pelli sulle cime della mia valle, dove ho fotografato talvolta un animale selvaggio talvolta gesti sportivi purché incorniciati dalla montagna; cerco di trovare l’avventura dietro casa piuttosto che cercarla in terre lontane anche se recentemente sto cercando di disegnare nuovi itinerari capaci di arrivare anche un po’ più in là con l’obbiettivo di raggiungere luoghi lontani da casa solo con le proprie forze magari unendo bici, corsa e sci alpinismo. Dopo una stagione di stage presso l’Ente Parco Alpi Cozie, esperienza che mi ha fatto conoscere molto del territorio in cui vivo e come muovermi per fotografare determinate specie, sono seguiti lavori stagionali che mi hanno permesso di avere un po’ di tempo per imparare a lavorare il legno e svolgere qualche mercato locale per hobbisti. Nel frattempo ho svolto l’attività d’amministrazione comunale divenendo vicesindaco, ho cercato di promuovere il territorio partecipando ad un concorso della Città Metropolitana di Torino con il progetto di un percorso botanico per il quale abbiamo preso il massimo punteggio rientrando così nei Comuni destinatari del premio. Inoltre ho redatto un regolamento innovativo di gestione del verde per la promozione e il miglioramento della biodiversità forestale e dei pascoli. Nella primavera 2019 sono diventato socio dell’Accademia Nazionale di Mountain Bike e faccio parte delle loro Guide. Riassumendo in questi anni ho fatto su è giù per le montagne con diversi mezzi fotografando ciò che mi circondava e si avvicinava al selvaggio, ultimamente l’essenzialità della corsa mi ha stregato e nonostante ho fatto, e sono in programma alcune gare, l’obbiettivo principale rimane quello di allenarmi per muovermi con meno difficoltà in montagna quando esco a immortalare la natura”.

Le foto degli animali sono tutte a cura di Luca Tessore.

Photo by Alif Ngoylung on Unsplash


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