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Simone Moro: “Il Manaslu mi ha cacciato a casa per la terza volta; in inverno nessuna montagna è facile”

Simone ci ha parlato del dispiacere di non essere stato al fianco di Tamara, di cosa significa scalare in inverno, e dei suoi progetti futuri.

Daria Bondavalli e outdoortest Scritto il
da Daria Bondavalli

Ascendere il Manaslu di 8163 metri, in Nepalese significa “la montagna degli spiriti”, è quasi diventata un’ossessione per Simone Moro ma anche questa volta, la terza, ha dovuto rinunciare. Durante la conferenza stampa digitale Simone, con la sua forza, chiarezza ed energia che lo caratterizzano ci ha parlato del dispiacere di non essere stato al fianco di Tamara, di cosa significa scalare in inverno, e dei suoi progetti futuri.

 

Campo base Manaslu, Nepal

 

Simone non perde mai il suo ottimismo e la sua voglia di sfide continue è un alpinista che è allenato al fallimento e lo considera come parte integrante del percorso per diventare alpinisti professionisti.

“Sono tornato al Manaslu, eravamo in 3 io, Alex Trixon e il suo amico Inaki Alvarez, non eravamo acclimatati ma volevamo salire senza ossigeno, non in stile alpino, quindi abbiamo fatto su e giù, arrivati a 6200 metri mi sono fermato, il crepaccio che mi aveva fermato nel 2018 era ancora lì che mi aspettava; mettendo quattro scale assieme non si arrivava nemmeno a metà”. Abbiamo cercato un altro itinerario ma era un labirinto, il vento era fortissimo tanto che una tenda di due quintali è volta via, la temperatura al campo base era -18° e in quota circa – 30° ma con un vento così forte (175 KM/h) è molto fastidioso. Sono arrivate le tempeste di neve e così ho deciso di rinunciare e ritirarmi”.

Il suo ritiro dalla spedizione per Simone non è una vergona, significa portare a casa la pelle. “Se fallisci l’ascesa non torni a casa, la montagna è mortale, game over; meglio la rinuncia”.

 

Manaslu, Nepal

 

Simone ha già in programma di tornare dal Manaslu in inverno in dicembre 2021; questa volta partirà i primi di dicembre in modo da poter fare l’acclimatamento e avere la possibilità di più finestre per tentare l’ascesa.

Chiediamo a Simone una sua opinione riguardo a quanto accaduto al K2: “Sono contento di non essere andato, non sono andato perché c’erano troppe iscrizioni, troppo affollato. Quello che è successo è una tragedia che segnerà la storia dell’alpinismo, mai avrei pensato una cosa del genere. Non sappiamo cosa sia successo ma io penso a un incidente improvviso. Mi dispiace che non ho potuto stare al fianco di Tamara quando aveva tra le braccia Sergi, eravamo in contatto in quel momento e ho provato a far partire gli elicotteri ma Tamara mi ha detto .. è morto”. Mi dispiace molto per Alì poteva diventare un trascinatore e maestro per gli alpinisti Pakistani, era una persona molto allegra; era l’eroe del Pakistan”.

“Fare una tirata unica dal campo 3 al K2 è molto difficile, Tamara aveva una strategia giusta, fare il campo 4; quei dieci alpinisti Nepalesi che sono andati su sono persone perennemente acclimatate e geneticamente predisposte”.

 

Campo base Manaslu, Nepal.

 

Per Simone Moro non esistono montagne facili in inverno, lui stesso ne è la prova, Il Manaslu, montagna che in estate è considerata abbastanza fattibile in inverno cambia totalmente: “E’ la montagna dove ho fallito di più; io continuo ad avere paura delle montagne e le affronto come è giusto farlo”.

Simone ci tiene a sottolineare che un 8000 in inverno è una scelta ma deve essere una scelta consapevole. “Nell’epoca in cui viviamo oggi ci sono molti inconsapevoli, non si ha più paura di nulla; alpinisti giovani che vanno al K2 e poi la maggior parte di loro deve rinunciare, è una bella lezione. In inverno è tutto più complicato, il freddo non è l’unico problema, bisogna essere chiari che non c’è mai un luogo caldo, che ci vuole molta più pazienza, bisogna essere forti psicologicamente ed essere in grado di aspettare anche per un mese una finestra per salire; è più costoso perché devi portare più roba e hai un 15% di farcela”.

L’alpinista Bergamasco consiglia ai giovani alpinisti di provare il “viaggio” entusiasmante del diventare alpinista, prendersi il tempo, non deprivarsi del percorso e di studiare ciò che è stato fatto prima. L’alpinismo è anche un percorso culturale: “Per essere innovatore devi sapere ciò che è stato fatto prima, c’è ancora tanto per divertirsi”.

 

Campo base Manaslu, Nepal

 

L’alpinismo di Simone è “frutto di un sogno completamente mio che include anche il fallimento”, il suo percorso d’alpinista Simone lo paragona alla ricerca delle sue “colonne d’Ercole” dove non ha cercato un lavoro ma una propria dimensione che gli ha fatto scommettere tutto.

I prossimi progetti di Simone sono diversi, oltre a ritornare sul Manaslu, ha da poco acquistato un nuovo elicottero per iniziare un progetto all’estero; inoltre parteciperà assieme al figlio di Messner a un progetto filmico su Gino Soldà, alpinista, partigiano, imprenditore e guida alpina che prese parte alla spedizione che raggiunse la vetta del K2 nel 1954, nato nel 1907 e deceduto nel 1989.

 

 

 

 

 

 


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